Gli occhi nell’altro

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“Gli occhi dell’altro sono come i tuoi, ma hanno visto cose che a te non è stato concesso di vedere, oppure, pur scrutando i tuoi stessi panorami, ne hanno intuito aspetti diversi, da diverse angolazioni e prospettive. Negli occhi dell’altro vi è un’altra visione del tuo stesso mondo, una ricchezza che rifiuti di cogliere ogni volta che neghi uno sguardo …”

la voce narrante aleggia sulla metropoli piovigginosa, plumbea, e sull’utilitaria che ristagna nell’ansa di traffico protesa verso l’agognato semaforo, al cui interno siede Alex, studente di undici anni al caldo tra i finestrini appannati, con lo sguardo vuoto e le orecchie piene di musica metallica sparata dalle cuffie del suo i-pod di ultima generazione. Al volante sta la madre, divorata dalla fretta, che strepita contro quella dannata città paralizzata come ogni mattina, imbrogliona come ogni mattina, e intanto parla freneticamente al portatile tramite auricolare. E’ una donna che lavora. Si apre un varco. E lei pigia l’acceleratore. Il giallo, inatteso nel grigiore, la costringe a desistere. Frena e impreca, arrendendosi al rosso. Poi deve rintuzzare la questua di lavavetri e mendicanti, con le donne si sa molto più pressanti. Alex sbadiglia, indifferente agli affanni della madre, rincantucciato nel tepore dell’auto e del cappotto. Un tepore che gli spetta per diritto di nascita. E che lui neppure considera una fortuna. Un tepore che, in quel preciso plumbeo istante di quella plumbea giornata metropolitana. Occhi lucidi di freddo gli stanno invidiando. Occhi di un suo coetaneo costretto a mendicare presso gli automobilisti in fila. Occhi di un moderno schiavo a cui spetta la strada invece della scuola, e l’invidia invece dell’indifferenza. Sono questi gli occhi dell’altro. Che Alex non pensa di cogliere. E che mai ha colto. Brilla il verde. La madre innesta la prima e inizia l’automatico gioco acceleratore/frizione. L’i-pod muore, improvvisamente scarico. Alex prende vita, imprecando contro quell’aggeggio imbroglione, come prima faceva la madre contro la metropoli imbrogliona. Distoglie lo sguardo dal nulla e scuote la testa, contrariato, incrociando furtivamente gli occhi dell’altro. Lo schiavo moderno oltre il vetro intorbidato ricambia. Uno … due secondi … non di più… l’uno negli occhi dell’altro. Termina il gioco dei pedali e l’utilitaria riparte. Ma qualcosa è accaduto.
Uno … due secondi non di più. Quello sguardo casuale ha creato una magia che poco si addice alla metropoli. L’i-pod si rianima. Nel tepore dell’auto e del cappotto c’è ora il piccolo schiavo moderno, lo sguardo vuoto, le orecchie piene di note metalliche. E sul marciapiede, abiti di poco conto e mano tesa, resta Alex …

“Gli occhi dell’altro sono some i tuoi, e diversi dai tuoi, sono specchio e cannocchiale, finestra aperta su scenari nuovi o su mondi conosciuto. Negli occhi dell’altro ci si prò riconoscere, perdere, sorprendere”

Clacson, bisticci per la viabilità e rigorosa doppia fila davanti alla scuola. L’utilitaria si ferma. Sospendendo per un istante l’ennesima conversazione telefonica, la madre saluta con poche rituali parole - e neppure uno sguardo – il
moderno schiavo calatosi nei panni e nella prospettiva di suo figlio. E il ragazzo balza giù, zaino in spalla, per mischiarsi ai compagni di scuola che lo chiamano “Alex”, che lo vedono “Alex”. E lui li segue, automaticamente, oltre il cancello, lungo il cortile, nei corridoi, in aula. Entra il professore e lui imita gli altri, prendendo posto al banco di Alex, ora suo. Sussulta alla chiusura della porta. E si fa diffidente.

“E’ la scuola, ragazzo. Regole e divieti. Pareti e cancelli. Collaboratori scolastici e custodi lesti come guardie ad impedire ogni fuga. Barriere architettoniche insuperabili anche per i “disabili di spirito libero” come te. E’ la scuola, ragazzo. Obbligo e privilegio. Sta’ seduto e zitto. Legge uguale per tutti. Anche per che in quest’aula c’è capitato per caso, anzi, per il sortilegio di uno sguardo …”

Il giovane schiavo è sveglio e capisce subito come funziona. A nessuno interessa la spiegazione del professore, ma quello comunque va avanti. Chissà perche!? Cosa lo spinge a sprecare tanto fiato!? Neppure dovesse convincere gli alunni a sborsare quattrini, così come fa lui con gli automobilisti in fila al semaforo. Quel barbuto saccente vecchio di cinquant’anni lo incuriosisce. E per la seconda volta in quella strana mattina, il giovane schiavo guarda negli occhi dell’altro. E il professore se ne accorge. Il poveruomo ha due classi, vale a dire sessantuno alunni compreso Alex, che ogni mattina, mentre spiega o interroga, gli guardano gli occhi. Così, superficialmente, per convenzione, come d’altronde fa lui di rimando. Ma stamattina lo sguardo di Alex è diverso, sprizza curiosità. Stamattina quel ragazzo non guarda i suoi occhi ma nei suoi occhi. Una preposizione articolata al posto di un articolo cambia tutto il senso. Se non lo sa lui che è un professore! Sceglie di ricambiare lo sguardo. Negli occhi. Uno … due secondi … non di più. La campanella pone fine alla lezione, ma qualcosa è accaduto. Una nuova magia che poco s’addice alla scolorita mattina invernale che attraversa i finestroni e spruzza l’aula di grigio.

In sala docenti, il giovane schiavo divenuto Alex divenuto professore, in giacca e cravatta troppo grandi per lui, osserva i colleghi e le colleghe in pausa, che si scambiano opinioni e telefonano, svelando ai suoi occhi problemi, insoddisfazioni, preoccupazioni quotidiane.
Nel bagno dei maschi, il professore divenuto Alex, sorta di insospettabile infiltrato, è tra i ragazzi e li ascolta parlare in libertà, scoprendo un’altra prospettiva del mondo e della scuola tra le pareti imbrattate di scritte canzonatorie rivolte al preside, ai professori, a lui stesso, che ora però è divenuto Alex e ci ride su.

Uno … due secondi non di più … ogni volta così … alla riscoperta imprevista dello sguardo dell’altro. Occhi negli occhi e poi lo scambio di ruoli, di prospettive. Un’epidemia. Ma non si tratta di un virus, né di moda … è davvero una magica rivoluzione!
E il brutto della classe entra nei panni del bello, il violento in quelli della vittima, il secchione si ritrova somaro e viceversa, l’atleta sperimenta la sedia a rotelle e il paraplegico le gambe …
Una grigia mattina di scuola di grande insegnamento! Per tutti! Nessuno escluso. E tutti, alla campanella di fine lezioni, sciamano fuori, in cortile, oltre il cancello, sulla strada, tra le auto dei genitori in attesa. Nessuno è più quello di prima. Ciascuno ne sa di più del mondo, degli altri e del significato di una grande parola: comprensione. La catena di magie ha scompaginato ogni cosa, mischiata ogni identità, ciascuno continua a mutarsi nello sguardo dell’altro, a vivere la vita dell’altro, osservando il mondo da prospettive sempre nuove. Una magnifica rivoluzione!

E Alex divenuto moderno schiavo? La giornata volge al termine anche per lui, schierato con altri trasandati coetanei davanti al boss che reclama gli incassi. Tutti hanno racimolato più di Alex. Molto di più. E il boss è scontento. Lo accusa di aver speso parte dei soldi o peggio di averli nascosti. E’ il momento della lezione. Alex vorrebbe fuggire, ma gli altri ragazzi, vittime come lui, sono costretti dal boss a bloccarlo e a tenerlo fermo. Ad Alex non resta che alzare lo sguardo implorante. Inutilmente. Gli occhi dell’altro sono celati da impenetrabili occhiali a specchio, che rimandano l’immagine della sua stessa paura e della sua sofferenza per i primi colpi.

“E’ la strada, ragazzo. Regole e punizioni. Nessuna parete, nessun cancello. Solo paura, violenza e prevaricazione. E’ la strada, ragazzo. Obbligo e nessun privilegio. Sta’ fermo e zitto. Legge uguale per tutti. Anche per chi sulla strada c’è capitato per caso, anzi per il sortilegio di uno sguardo …”

Il boss non fa sconti e lo percuote con scientifica precisione, solo sul corpo, là dove non resteranno segni visibili. Cade in terra, Alex, sul braccio sinistro, che forse si frattura. Anche a lui, in questa grigia giornata piena di magie e di nuova conoscenza è stata concessa la chance di un’altra visione prospettica del mondo.
Del suo mondo.

Il giallo del semaforo, schiaffo di luce nel grigiore metropolitano, costringe l’utilitaria a fermarsi. Nell’abitacolo la donna impreca si arrende al rosso. Spuntano lavavetri e mendicanti, che con le donne si sa sono molto più pressanti. Alex si sveglia di soprassalto, nel tepore dell’auto e del cappotto. Subito guarda con apprensione oltre il finestrino appannato. Si rasserena: non c’è segno del moderno schiavo che ha popolato il suo strano sogno. Brilla il verde. La madre innesta la prima. L’i-pod si spegne di colpo. Alex sussulta. Gira lentamente il viso verso il finestrino intorbidato da quel tepore che, lo sappiamo, gli spetta per diritto di nascita. Ora c’è! Il moderno schiavo c’è! Ha un braccio al collo, il sinistro, e si fa sempre più vicino, i grandi occhi lucidi di freddo e d’invidia. Occhi di moderno schiavo a cui spetta la strada invece della scuola. Sono gli occhi dell’altro. Alex ha la chance di guardarvi dentro. La chance di cambiare il corso delle cose.

“ Per guardare negli occhi dell’altro ci vogliono fegato e curiosità. Spolvera la mente intorpidita, ragazzo! Tira a lucido i cinque sensi e datti da fare!”

Alex si morde un labbro, esita, poi, vigliacco si volta dall’altra parte. La madre termina il gioco dei pedali e l’utilitaria riparte. L’i-pod si rianima. Alex si allontana dalla chance con lo sguardo vuoto e le orecchie piene di note metalliche. E sul marciapiede, abiti di poco conto e mano tesa, resta il moderno giovane schiavo.

di
Stefano Pomilia
e
Rosario Errico